Primavera Sound 2018: giorno 1

Dal ’97 al ’99, la cantautrice canadese Sarah McLachlan ha organizzato il Lilith Fair, un festival itinerante in cui si esibivano solo donne. Era un momento in cui la musica mainstream aveva trovato nuove energie grazie a voci come Alanis Morissette e Lauryn Hill; c’era una domanda nel mercato che McLachlan aveva giustamente deciso di sfruttare non solo come artista ma anche come imprenditrice; c’era la necessità e l’occasione di creare un festival in cui si respirasse un’aria diversa, per un pubblico di ragazze e persone queer (e uomini così evoluti da volere ascoltare musica fatta da donne).
Sono passati vent’anni, quel festival non esiste più (salvo un tentativo di remake nel 2010) e ogni estate ci si chiede come mai le artiste femminili sui cartelloni dei grandi festival siano così poche. Che sia questione di domanda o offerta poco importa: vedere il cartellone di Reading & Leeds (per citare l’esempio più estremo) con solo i nomi femminili evidenziati fa impressione e dimostra che da qualche parte nella catena c’è qualcosa da aggiustare. Ci sta provando la PRS Foundation con Keychange, un’iniziativa volta a raggiungere il 50:50 nelle lineup musicali entro il 2022.
Il Primavera Sound non ha ancora aderito, ma guardando le lineup degli ultimi anni, si capisce che gli organizzatori hanno già cominciato a ragionare in questi termini. Andando spesso oltre lo stereotipo delle band-indie-bianche-da-Pitchfork, hanno proposto nomi come Tori Amos, PJ Harvey, Grace Jones e Solange scrivendoli in caratteri molto più grossi di quelli che di solito spettano loro sul cartellone di un festival britannico o statunitense.
Quindi, nell’anno in cui il Primavera ospita Björk e Fever Ray, ha senso provare un a fare un percorso “Lilith Fair” dentro il Primavera stesso (e lasciare i Migos lì dove stanno). Non bisogna per forza aspettare il 2022.


Il primo concerto dell’edizione è italiano: gli Any Other di Adele Nigro suonano nell’area Pro riservata ai professionisti dell’industria e che presto si riempie di altri spettatori attirati dalla voce della cantautrice. La nuova entrata di 42 Records scrive in un inglese così naturale e schietto da darle credibilità internazionale. Non suona come nessuna artista mainstream in questo momento (volendo, la combinazione di indie rock Anni ’90 e testi molto intimi la riconducono a Courtney Barnett), ma nel suo caso potrebbe essere un vantaggio. E oggi l’abbiamo vista guadagnarsi l’attenzione del pubblico casuale nel mezzo di un grande festival: non è poco.


Lo spettacolo di Björk inizia con una serie di cartelli: è una situazione di emergenza, ci avverte, e per garantire la sopravvivenza della specie ai disastri ecologici dobbiamo unire natura e tecnologia e ricompattarci in una società matriarcale. Lei è già nel futuro che ha immaginato, ci guida al suono dei suoi flauti e ci invita a ripartire da zero. L’utopia di Björk, nata da da un moto di speranza dopo la dolorosa separazione raccontata in Vulnicura, è un’isola rigogliosa, dove i fiori e gli uccelli terrestri convivono con creature ibride, tra la bellezza accidentale delle mutazioni di Annihilation e l’immaginazione infantile di Adventure Time. Il palco è una giungla, le sette flautiste mascherate i suoi fauni, e Björk la matriarca su un trono vulviforme. Tra laser verdi, avatar animati, fiori gonfiabili e bassi profondissimi, è lo spettacolo più massimalista ed esagerato dell’artista dai tempi del Greatest Hits Tour, e raggiunge un nuovo livello di stranezza perfino per i suoi standard. Come sempre nei suoi live, l’aspetto più interessante è scoprire come verranno reinterpretate le hit storiche attraverso i suoni dell’era in corso: la jungle di “Isobel” incontra finalmente la giungla ma resta quasi invariata, e la rispolverata più significativa in “Human Behaviour” e “The Pleasure Is All Mine” è l’uso dei flauti per sostituire, rispettivamente, i synth e i cori. È forse più interessante notare come queste scelte dal vecchio catalogo seguono un fil rouge tematico più che sonoro, e in secondo luogo l’ostinazione con cui l’artista si rifiuta di fare una scaletta “da festival” e propone quasi solo materiale nuovo. È materiale che per giunta resta troppo astratto per le ambizioni di uno show pirotecnico: le strutture irregolari e spinose di Arca non sono del tutto compatibili con certe esigenze teatrali (nei suoi arrangiamenti come individuare un crescendo, un climax o un’esplosione su cui sincronizzare visual e coreografie?). Ma ancora una volta, chi ha la pazienza e la curiosità di seguire Björk ne uscirà ispirato ed emozionato, e ci dispiace per gli altri.


Il concerto successivo inizia solo cinque minuti dopo, ma dal lato opposto del parco. Arrivo quindi in ritardo per sapere se Fever Ray ha chiesto, come fa di solito, che le donne e le persone più basse si sistemino più vicine al palco. Björk non è l’unica ad avere lavorato alla sua utopia: il palco dell’artista svedese è interamente occupato da donne, così come gran parte del suo staff tecnico. Lei, dopo anni di maschere, si presenta con capelli corti ossigenati e trucco scuro e sbavato attorno a occhi e labbra. Il suo show è l’evoluzione, o meglio, la correzione dell’ultimo, contestatissimo, tour dei suoi The Knife: resta il gusto per il sensuale e il morboso, ma cadono tutti gli aspetti meta che lo rendevano una parodia poco comprensibile. Sul palco e nel pubblico ci si diverte allo stesso modo: sul palco ogni componente della band ha il costume di una supereroina inventata (la bodybuilder, la scienzata anarchica, la guerriera ecologista…) e nel pubblico i goth ballano i ritmi tropicali di canzoni iper-politche. Uno degli show più centrati, pensati e divertenti degli ultimi anni.


L’ultimo concerto della serata è quello dei Chvrches, e subito Lauren Mayberry confessa che non si aspettavano di fare il pienone all’una e mezza. Sono passati quattro anni dal loro primo Primavera sul palco Pitchfork, ma l’upgrade al palco principale è stato del tutto meritato. La sicurezza con cui si presentano oggi sembrava impensabile ai loro esordi e dal vivo anche i brani dell’ultimo album (uscito venerdì scorso e accolto senza molto entusiasmo) guadagnano potenza. Si può sottolineare come la loro discografia continui a risultare piuttosto omogenea e nei concerti lo sarà sempre di più (con un catalogo in espansione e molti singoli da suonare, le tracce più oscure e sperimentali non trovano spazio in scaletta), ma per un’ora di synthpop con echi di Depeche Mode e ritornelli da urlare, i Chvrches live sono già una garanzia.


Foto Björk: Ferran Sendra; Fever Ray: Levan TK; Chvrches: Sergio Albert
Rockol

Björk, Utopia


C’è una brughiera ventosa al tramonto e una donna seduta di spalle che suona il flauto. Lentamente l’inquadratura si apre e rivela un paesaggio extraterrestre eppure rassicurante. La donna suona, o forse incanta, sgorbi alieni sospesi a mezz’aria, mentre sullo sfondo si intravvede una caverna dall’entrata vulviforme. Benvenuti a Utopia. Abitanti: una, ma il suo sguardo è accogliente e gli inviti sono aperti.

Il video di “The Gate”, uscito a settembre, ci preparava così all’inizio di un nuovo capitolo nella discografia di Björk. Come suggeriscono le prime parole del testo, la ferita sul petto che esibiva sulla copertina del precedente Vulnicura (e che rappresentava la fine del suo matrimonio), è guarita e si è trasformata in un portale per ricevere di nuovo amore. Nel video, infatti, l’artista accoglie e rilancia sfere di luce, celebrando la libertà ritrovata. L’ha chiamato il suo “Tinder record” – una definizione che è piaciuta molto ai media, e che ai media è piaciuto travisare – e lo è davvero. Non perché Björk usi un’app per incontri, ma perché alcuni brani diUtopia descrivono la sensazione di riaprirsi al mondo dopo una rottura, di ritrovare la fiducia in nuove persone e immaginare l’innamoramento. Questo, oggi, avviene inevitabilmente online, e l’artista, che ha da sempre un rapporto positivo con la tecnologia, vuole sottolinearlo. In “Blissing Me” è intenta a scambiarsi mp3 con un altro “music nerd” e non sa se si è innamorata di una canzone o del suo mittente (sembra quasi l’aggiornamento di “Headphones” del ’95, ode alle mixtape create per lei dal produttore Graham Massey). In “Features Creatures” diventa una dottoressa Frankenstein che assembla l’uomo ideale attraverso caratteristiche da profilo online; in “Arisen My Senses”, che apre l’album, è alla ricerca di una connessione, calore e sesso.

Björk voleva leggerezza e l’ha trovata nei fiati e nei campionamenti di uccelli islandesi e venezuelani che decorano le tracce. Dopo l’esperienza di Vulnicura, in cui la sua voce entrava in competizione con archi maestosi e sprofondava nel dolore dell’amore finito, vuole offrire speranza e portarci coi suoni in foreste ancestrali mentre le parole descrivono, con un linguaggio più contemporaneo di quello di molte popstar adolescenti, le interazioni al tempo dell’iPhone.

È una leggerezza relativa: è l’album più lungo della sua discografia, contiene un brano/tour de force di dieci minuti e quasi tutti gli altri potevano essere accorciati. E anche la collaborazione con Arca, col quale ha instaurato un’intensa amicizia lavorando sul disco precedente, porta con sé dei rischi. Da una parte, il musicista venezuelano sa creare un perfetto equilibrio tra nuove idee e citazioni del catalogo björkiano: i due trovano soluzioni incredibili e aliene, suoni che abbagliano, momenti di pura gioia che potevano nascere solo da un approccio giocoso e divertito come il loro. Ma dall’altra, Arca non è un produttore nel senso più tradizionale del termine, ovvero uno che in alcuni casi suggerirebbe modifiche per dare più coesione all’opera, che risulta prolissa e fatica a seguire il suo stesso concept. L’utopia, infatti, nella parte centrale del disco, è guastata da alcuni aspetti della nostra realtà che s’insinuano nei brani: in “Courtship” Björk assaggia “il siero paralizzante del rifiuto”; in “Sue Me” e “Tabula Rasa”, torna a parlare di divorzio. Tuttavia, se in Vulnicura la ferita era troppo fresca per ragionare, qui l’artista affronta le questioni legali e sentimentali con maggiore compostezza. Non vuole più fare la guerra all’ex perché ha ancora ricordi teneri della loro relazione, e perché vuole proteggere la figlia dagli errori dei genitori.

Nulla può l’escapismo sonoro contro i casini che si combinano per amore, contro il passato che inquina il presente e rimanda la fuga verso Utopia. Ma Utopia non è un luogo a sé: è un suggerimento, è l’idea di un futuro (“Future Forever”) che rende questa realtà sopportabile.

da Rockol

Björk, Vulnicura

vulnicura-cover

7 mesi prima

Björk è il tipo di artista che, potendo scegliere, si limiterebbe a registrare un album ogni quattro anni, corredarlo di qualche video interessante e fare lo stretto indispensabile per promuoverlo dal vivo. Ed è quello che ha fatto finché i soldi, nell’industria musicale, si facevano così, tentando i fan con numerose edizioni limitate e singoli impacchettati in decine di versioni diverse. Non sorprende che, nel momento in cui tutto è andato a rotoli, abbia cercato di potenziare l’offerta, prima antologizzando ogni aspetto della sua carriera in bellissimi cofanetti e poi inventandosi nuovi modi di estendere il concetto di album. Biophilia, la cui era è durata ben più a lungo di quanto meritasse, è nato con un set di applicazioni, è diventato un film, un documentario con Attenborough, una serie di laboratori per bambini e un programma educativo per le scuole. Björk stessa, intervistata dal Guardian a giugno 2014, nota la contraddizione: un progetto che nasceva per liberare la musica dai suoi schemi di composizione tradizionali è stato costretto a entrare in altri schemi, forse ancora più rigidi, per potere essere accettato dalle scuole scandinave e diventare parte del curriculum didattico. Si può dubitare dell’utilità dell’iniziativa (esistono migliaia di app per fare musica e quelle di Biophilia non sono nemmeno lontanamente tra le migliori), ma non del potere di Björk. Ha costruito un brand culturale allineato ai suoi valori, confermandosi l’innovatrice che piace alla stampa e al suo pubblico; è riuscita nell’impresa di trasformare un album in qualcosa di pratico e concreto. Tuttavia, i meriti musicali di Biophilia sono sfumati in fretta. A volere essere cinici, non era che una raccolta di suggestive metafore prestate dalla natura per parlare di sentimenti: la scelta di un’artista che, al settimo album, non sapeva più dove trovare quella creatività di un tempo, e si era messa a cercarla ovunque, perfino attraverso periscopi e microscopi.

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Björk, Biophilia

Dopo tre anni dall’inaugurazione dell’App Store e più di un anno dalla messa in commercio dell’iPad, la prima ad avere avuto l’idea di un album che è anche una suite di applicazioni – una per traccia – è stata Björk. Come non ci abbia potuto pensare nessun altro in tutto questo tempo è abbastanza inspiegabile. Sì, dal punto di vista musicale ed estetico, è sempre stata un’artista all’avanguardia, ma nella strategia comunicativa e nell’interazione col pubblico non ha mai adottato un approccio marcatamente anticonvenzionale. Non è stata la prima a commissionare video e remix dai fan (anzi, ci arrivò quando la cosa era già passata di moda) e c’è da chiedersi come i soliti Trent Reznor o Moby non abbiano mai sfruttato appieno le possibilità delle app. Dopo Brian Eno che ti addormenta a suon di ambient con Bloom, David Bowie che ti fa remixare “Golden Years”, e T-Pain che ti filtra la voce con l’autotune, gli esempi degni di nota forse finiscono qui.

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Björk, Biophilia tour

Se mi seguite su Twitter, domenica vi sarete accorti che ero al Manchester International Festival per la seconda data dell’anteprima mondiale del nuovo tour di Björk. Potrei esserne stato abbastanza entusiasta, non so se si è capito. Per chi volesse leggere opinioni a riguardo in un formato più digeribile e con meno caps-lock, la mia recensione è su Grazia.

La classifica: Top 12 GIF animate del 2010

Se un’immagine vale mille parole, una GIF ne vale millemila. Ho cercato in lungo e in largo una classifica delle GIF animate dell’anno e non l’ho trovata. È sorprendente, ma sembra che nessuno finora abbia voluto onorare la grandezza del Graphics Interchange Format alla ricerca del Crying Dawson del 2010. Quindi, ci penso io, perché l’internet premia lo spirito di iniziativa. (E premia anche la pazienza: date un po’ di tempo a questa pagina di caricare tutte le GIF.) Via.

12. Brendan Fraser’s clap

Il contesto: Durante la cerimonia dei Golden Globes di gennaio, Bob De Niro consegna il premio alla carriera a Martin Scorsese facendo una battuta. Tutti ridono, ma Brendan Fraser lo fa così. (video)

Quando usarla: Se qualcuno fa una battuta idiota è l’ideale. Se quel qualcuno ha anche pagato per vedere Puzzole alla riscossa, ancora meglio.

11. Oprah’s Favorite Things: Bees

Il contesto: Ogni anno, Oprah Winfrey dedica una puntata del suo storico programma alle “cose preferite”. Si tratta di una gigantesca marchetta natalizia per vari prodotti, ma il pubblico in studio non è certo lì per fare un’aspra critica al consumismo. Il pubblico in studio potrà portare a casa i vari gingilli consigliati da Oprah e ciò causa fenomeni di isteria collettiva – ritratti in maniera esilarante e realistica in un vecchio sketch di SNL. Conan O’Brien reinventa lo scenario aggiungendo delle api, ilarità ne consegue. (video)

Quando usarla: Be’, questa è perfetta per tutte le brutte sorprese o chi vi ha fatto un orrido regalo per Natale. Se avreste preferito ricevere una scatola piena d’api anziché quello spremiagrumi elettrico, la GIF di cui sopra è il modo migliore per dire “non ti dovevi disturbare”.

10. Céline Dion, Animated Woman

Il contesto: In un’intervista chez Oprah a febbraio, Céline viene ufficialmente proclamata Donna Più Giffabile del Mondo. (video)

Quando usarla: C’è solo l’imbarazzo della scelta. Come potete vedere nella galleria qui sopra, le GIF della Dion contengono l’intera gamma delle emozioni umane.

9. Gaga e gli alani

Il contesto: In quasi tutti i video di Lady Gaga ci sono degli alani (sapevatelo) e uno degli alani di “Poker Face” è passato a miglior vita (RIP Rumpus). Nell’immensità di GIF dedicate alla Germanotta, questa serie di immagini presa da un vecchio video che non ricordo, sembra avere particolare successo perché…

Quando usarla: …è sinonimo di “haters gonna hate”.

8. Steve Carell, “I will kill you”

Il contesto: Alla cerimonia dei Golden Globes, Ricky Gervais fa una serie di battute a proposito della versione americana di The Office. Carell, inquadrato tra il pubblico, la prende bene. (video)

Quando usarla: Mi sembra di non dovere aggiungere altro.

7. Mo’Nique vs. Salad

Il contesto: Quest’anno, Mo apostrofo Nique ha vinto una vagonata di premi per il suo ruolo in Precious, e ne merita altri per questa GIF.

Quando usarla: “Non è proprio fame, è più voglia di qualcosa di buono.”

6. Sad Keanu


Il contesto: Sad Keanu è il meme migliore dell’anno. Tutto ha inizio quando l’attore viene paparazzato su una panchina mentre mangia un panino con aria affranta. Tenendo in considerazione che Keanu non è mai stato particolarmente fortunato nella sua vita privata e che pare sia un bro simpaticissimo, l’Internet si intenerisce e stabilisce che il 15 giugno è Cheer Up Keanu Day. Nel frattempo, l’attore, consapevole o forse no, viene fotografato in contesti sempre meno hollywoodiani (qui sopra abbiamo Cupcake Keanu), dando vita a centinaia di photoshoppaggi, GIF e meme dentro al meme.

Quando usarla: Perché usare due punti aperta parentesi, quando c’è Sad Keanu?

5. Dramatic Bieber

Il contesto: Il primo d’aprile, Funny or Die organizza un elaboratissimo scherzo per celebrare l’onnipresenza di Biebz nel web. La home page del sito viene completamente bieberizzata, con tanto di header frangettato e una valanga di contenuti video in cui la giovane postar reinterpreta alcuni classici virali. Dramatic Bieber, ça va sans dire, è la ciliegina sulla torta. (video)

Quando usarla: In qualsiasi contesto che richiederebbe Dramatic Chipmunk, ma c’è bisogno di un 100% di frangettona in più.

4. Mariah

Il contesto: A fine 2009, Mariah Carey viene intervistata da Larry King e, tra una “dichiarazione choc” e l’altra, si annusa il décolleté. (video)

Quando usarla: Una GIF versatilissima. Può essere usata come sinonimo di “check yourself” (la mia pagliuzza vs la tua trave nell’occhio, ecc.), per intromettersi in un’assurda discussione o semplicemente per provocare LOLLONI.

3. How LOST Should Have Ended


Il contesto: L’ultima stagione di LOST si conclude in un crescendo di assurdità panreligiose e qualcuno immagina il finale ideale. Perché avremmo veramente tutti preferito che fosse finito così.

Quando usarla: Mai, è solo un doloroso promemoria del tempo che ci hanno rubato.

2. Animated Albums


Il contesto: A maggio, esplode il fenomeno di Animated Albums, un tumblr che anima (spesso con risultati molto divertenti) le copertine di dischi belli. Finisce praticamente su tutti i siti che contano e, a sette mesi di distanza, va ancora fortissimo. Motivo d’orgoglio in più: il creatore è un italiano.

Quando usarla: La GIF di Homogenic è la mia preferita ed è forse la responsabile del successo iniziale del sito, ma c’è un’infinità di album per tutti i gusti e tutte le occasioni.

1. Kanye Is Not Amused

Il contesto: Kanye ci dimostra che sa ridere come un vero essere umano, ma riesce a cambiare stato d’animo con maggiore rapidità di noi.

Quando usarla: La GIF d’eccellenza per la risata di circostanza.

Ne ho dimenticato qualcuna? Sicuramente sì. Postala tu nei commenti.