2018: 27 belle canzoni

La consueta classifica.

27 | Billie Eilish | you should see me in a crown
La produzione di “you should see me in a crown” sembra in bilico tra due mondi. Da un lato, dettagli sonori quasi impercettibili e apprezzabili solo in cuffia; dall’altro, bassi profondissimi che esploderanno nella versione dal vivo. Qualcosa per lo streaming, di cui Billie Eilish è un’insospettabile regina (25 milioni di ascoltatori su Spotify); qualcosa per i live, visto che non ha passato un mese senza esibirsi (92 date spalmate in un anno). E tutto questo prima di avere pubblicato un LP.

26 | M¥SS KETA | UNA DONNA CHE CONTA
Una donna che 1, 2 racconta da protagonista immaginaria, dagli anni ’80 a oggi, il nazionalpopolare; una donna che 3, 4 nell’ultimo anno si è avvicinata pericolosamente a diventare parte del nazionalpopolare anche lei – com’è giusto che sia.

25 | BLACKPINK | 뚜두뚜두 (DDU-DU DDU-DU)
Quando le Girls’ Generation, nel 2012, provarono a conquistare il mercato estero con tanto di esibizioni ai talk show serali americani, l’Occidente non era pronto. A sei anni di distanza, e in pieno boom BTS, ecco una girlband coreana più assimilabile (le Girls’ Generation sono nove!). Le BLACKPINK sono armate di un singolo pazzesco, che straripa di idee, che osa, e non sembra fatto per saziare gli algoritmi.

24 | Mahmood | Milano Good Vibes
Egitto e Giappone, Bali e Cuba, pounds e pesos: l’esotismo della scrittura di Mahmood è già stato notato e preso in prestito da grandi nomi del pop italiano, ma alla fine la sua traccia migliore è anche la più “locale”. In una lettera d’amore alla Milano deserta d’estate, Mahmood cerca le good vibes che speriamo lo accompagneranno anche a Sanremo 2019.

23 | Shawn Mendes | In My Blood
“In My Blood” è il suono di un ragazzo che sta cercando di capire chi è, ma senza il lusso della privacy. Scrive così un omaggio a “Use Somebody” le cui prime parole sono “help me”, per poi trovare l’aiuto che cerca in se stesso, perché il resto del mondo è impegnato a fare battutine su come gesticola. (È comunque poi riuscito a rovinare tutto trasformandolo nell’insensato inno del Portogallo per i Mondiali di calcio.)

22 | Mariah Carey | Giving Me Life (feat. Slick Rick & Blood Orange)
Forse nemmeno Mariah si aspettava che Caution le avrebbe fatto ritrovare il rispetto della critica (82 su Metacritic!) e che nel 2018 il mondo si sarebbe improvvisamente ricordato che è stata una cantautrice e un’innovatrice per tutta la sua carriera. Col senno di poi, forse non si sarebbe imbarcata in un kitschissimo tour festivo, ma è anche bello che Mariah sia tanto a suoi agio tra i lustrini e le hit del ’92 quanto su una raffinata produzione di Dev Hynes.

21 | Mitski | Geyser
“Geyser” non torna mai sui suoi passi: quando potrebbe ripartire con una nuova strofa, o almeno trasformare un verso in un ritornello, aggiunge una nuova idea o finisce. Mitski ha raccontato di averci lavorato per anni ed è curioso che abbia trovato una soluzione scegliendo di dimenticare le regole base di una canzone. Ed è appropriato che la travagliata relazione raccontata nel testo non sia con una persona, ma con la musica.

20 | Christine and the Queens | 5 dols
Christine diventa Chris, ma non perde la chaleur humaine e offre una prospettiva inusuale per parlare di prostituzione in una canzone. Non dipinge la sua protagonista come una vittima, ma come un’eroina che nella miseria di una banconota trova la libertà. È una questione delicatissima che, nelle mani di artisti meno bravi, causerebbe scandalosi malintesi, ma Héloïse ha tutto il talento per rendere la storia credibile e liberatoria quanto il crescendo del ritornello.

19 | The 1975 | Give Yourself a Try
Se arrivassero gli alieni e chiedessero cos’è un millennial, la risposta migliore sarebbe consegnare loro l’ultimo album dei 1975. Matt Healy è tra gli osservatori più brillanti di questa generazione perché ne esamina le caratteristiche senza cinismo, passando dai problemi di tutti ai problemi da star, dal primo capello grigio alle MST, dai social alle dipendenze, su una musica distorta e incatalogabile eppure pop. “GYAT” si ferma solo un momento, per ricordare una fan che si è suicidata a 16 anni mentre il suo idolo era chiuso in una villa a Los Angeles spaventato dal successo.

18 | Lady Gaga & Bradley Cooper | Shallow
A Star Is Born è fissato con l’autenticità degli artisti e pieno di contraddizioni, ma almeno una cosa quadra perché il punto più alto del film è quanto di più autentico si possa creare nel suo implausibile contesto: quando Ally canta per la prima volta le note alte del ritornello di “Shallow” in un parcheggio e con un pacco di piselli surgelati in mano.

17 | Lily Allen | Lost My Mind
Ci sono voluti quattro album perché Lily ricevesse una nomination ai Mercury Prize e venisse notata dalla critica per i suoi testi. Sì, No Shame è forse il suo album migliore, ma Lily è sempre stata eccezionale ad abbinare fatti estremamente personali, raccontati con parole cristalline senza vergogna, e arrangiamenti contemporanei. Esempio: “Lost My Mind”, in cui le cattiverie dell’ex marito trovano una base tropicale.

16 | serpentwithfeet | bless ur heart
In “bless ur heart”, serpentwithfeet si chiede: “come potrei tenere questi documenti d’amore per me?” perché conosce il valore del suo racconto. Immagina quindi le sue storie come creature che crescono gambe e radici, che acquisteranno vita propria per ispirare e infondere coraggio ad altri amanti. In un mondo di storyteller autocertificati, Josiah Wise è una voce ricca e preziosa.

15 | Neneh Cherry | Kong
Neneh Cherry torna al trip hop con una delle massime autorità in materia (Del Naja) e il produttore che l’aveva accompagnata dopo anni di assenza dalle scene (Four Tet). È una rara canzone di protesta (rara perché è bella, ma anche perché pochi artisti si sono presi la briga di guardarsi intorno nel 2018) ed espone con semplicità il lato umano di una tragedia: tutti cercano i loro amici “in Francia e in Italia e per i sette mari”; tutti scelgono “un rischio che vale la pena correre” per la propria felicità.

14 | Malika Ayane | Stracciabudella
In una conferenza stampa, Malika ha detto che “è un momento straordinario per osare e affidarsi alla volontà di fare qualcosa di bello, perché il bello arriva”. E “Stracciabudella”, col suo testo sciocco e romantico e la sua idea di pop vintage in bilico tra anni ’60 e Solange (nonché il video italiano curato, girato e montato meglio dell’anno), è arrivata forte e chiara.

13 | St Vincent | Fast Slow Disco
Se non fosse per Taylor Swift, questo remix non esisterebbe. Pare infatti che abbia suggerito di fare una versione pop di “Slow Disco” a Annie e il produttore che hanno in comune, Jack Antonoff. Come al solito, l’intuito di Taylor è vincente, ma non sottovalutiamo quegli altri due, che sono riusciti a potenziare il pezzo, velocizzandolo e aggiungendo cori gospel, mantenere il senso di alienazione dell’originale e creare un rimedio allo stesso attraverso la musica.

12 | Charlie Puth | Done for Me (feat. Kehlani)
Uno dei piaceri del 2018 è stato ascoltare Charlie Puth senza vergogna – lui che, altrettanto privo di vergogna, ha svoltato verso gli anni ’80, tastierine e Wham!, trovando la sua dimensione ideale. E di sicuro aiuta anche avere al proprio fianco Kehlani anziché Meghan Trainor.

11 | James Blake | Don’t Miss It
È un brano pubblicato a sorpresa, slegato dalla promozione di un album, che riflette un’urgenza, a partire dal video che mostra una notta scritta di fretta sull’iPhone. È un prezioso momento di lucidità sulla depressione attraverso gli occhi di chi ne è appena uscito o quantomeno è riuscito a guadagnarsi un momento di pausa. E il fatto che sia stato immediatamente catalogato da Pitchfork come “sadboy music” ricorda che c’è ancora molta strada da fare.

10 | Salmo | 90MIN
Salmo posseduto dallo spirito del Kanye di “Black Skinhead”, con un testo che è la versione italiana ideale di “This Is America”, con risultati da Ed Sheeran (nove brani in top 10 in una settimana). Ci sono “fascisti che ascoltano hip hop” e fascisti che finalmente si trovano davanti un artista più interessato a dire la sua che a mantenere lo status quo. Nel momento in cui il Ministro degli Interni ti manda l’emoji del bacino, sai che sei sulla strada giusta.

9 | Zedd | The Middle (feat. Maren Morris & Grey)
Si fa prima a trovare una popstar che non ha registrato un demo per “The Middle”, e alla fine la scelta è ricaduta su una voce emergente del country che si è rivelata un’arma segreta. Il brano è anche stato il soggetto di un video del New York Times che ha mostrato a molti neofiti la catena di montaggio del pop oggi. È in effetti un ottimo esempio perché mostra come, raramente, gli astri si allineano in un un pezzo che non cambierà la storia della musica, ma nei tre minuti che lo ascolti ti sembra il migliore del mondo.

8 | Childish Gambino | This Is America
Se in ogni episodio di Atlanta Donald Glover ha mezz’ora per arrivare al punto, e sceglie sempre di farlo in modo diagonale, suscitando riflessioni mai scontate sulle questioni razziali oggi, qui racchiude tutto nello spazio di una canzone e un video con risultati ancora più potenti. L’opera d’arte del 2018, fosse anche solo per tutta l’arte che ha generato a sua volta.

7 | George Ezra | Paradise
Non si capisce cosa sia saltato in testa a chiunque abbia girato il video di “Paradise”, che sembra un video indie rock uscito dall’era degli Interpol, tutto toni freddi e serietà. Per fortuna l’ho visto solo molto dopo avere sviluppato una dipendenza dal brano, che suscita suggestioni opposte: calore, euforia e rimbambimento per un’infatuazione. E sembra di ascoltare un festival estivo compresso in tre minuti e mezzo.

6 | ROSALÍA | MALAMENTE – Cap.1: Augurio
Una catalana che fa musica andalusa, viene proiettata sul mercato internazionale in diretta dai Paesi Baschi, duetta col portoricano J Balvin e finisce a vincere due Latin Grammy. C’è qui un sacco di materiale per polemiche inutili e, che piaccia o no ai puristi del flamenco, Rosalía ha trovato il modo di sposare tradizione e innovazione in un concept album di rara attenzione filologica. “MALAMENTE” è il primo capitolo: per lei è il presagio di un amore sbagliato, per noi è la certezza di avere davanti una superstar.

5 | Robyn | Honey
Dopo averla ascoltata ossessivamente in formato ridotto e con sopra la voce di Adam Driver nella scena finale di Girls, ci siamo ritrovati con una “Honey” molto diversa nella sua versione finale. Robyn ha lavorato per sottrazione, slegando di più il cantato dalla base e togliendo le pause, rendendola liquida come le parole chiave del suo testo: onde, saliva, miele.

4 | Cosmo | Tristan Zarra
Un campionamento di Paola e Chiara nascosto, il cellulare di Calcutta, Francesca Michielin dal vivo, la doppiatrice della regina in The Crown e il training autogeno: l’esperimento dadaista di Cosmo è un delirio citazionista, “un viaggio totale” e il pezzo ballabile più assurdo (e allo stesso tempo politico) dell’anno; è “la promessa di un futuro grandioso”, quantomeno per il pop italiano.

3 | Troye Sivan | Bloom
“Bloom” è un cavallo di Troia: è un brano che può passare in radio indisturbato, deliziando l’ascoltatore distratto con la sua perfezione bubblegum pop ed echi di “Teenage Dream”, mentre il suo autore sta cantando di perdere la verginità anale. Per ogni battaglia LGBT combattuta e persa, per ogni commento casualmente omofobo, fa bene ricordare che c’è una major discografica che investe milioni su una popstar apertamente gay e che pubblica un album, diretto soprattutto a un pubblico di adolescenti, che parla di cosa significa essere gay oggi. E in mezzo ci infila un banger squisito e lurido, ricco di metafore floreali sull’essere deflorati.

2 | Ariana Grande | no tears left to cry
Numero uno in Stati Uniti, Regno Unito e una decina di altri paesi nonché prima canzone a superare 100 milioni di riproduzioni in una settimana su Spotify, è il singolo che ha consacrato Ariana Grande come la popstar più importante al mondo oggi: si tratta di “thank u, next”, e il suo successo è quello che avrebbe meritato “no tears left to cry”. La storia ha così preferito che Ariana battesse i record con una sciocchezzuola registrata di fretta per rispondere a un ex (e al mondo). I due singoli hanno però qualcosa in comune: l’eleganza e la maturità con cui la cantante reagisce ai traumi della sua vita, trovando energia non nella rabbia ma nei cambi di prospettiva (e l’intera promozione di Sweetener si basa su immagini al contrario). Poteva parlare della tragedia di Manchester con una ballata strappalacrime e ha fatto l’opposto: le lacrime sono finite, non hanno più senso, e Ariana, che non ha certo trovato una soluzione al terrorismo, invita solo l’ascoltatore a cambiare mentalità e rialzarsi con lei.

1 | Francesca Michielin | Bolivia
Francesca ha avuto un anno straordinario. Volendo esaminare l’operazione discografica, è sicuramente stata fortunata ad avere con sé un management lungimirante che ha saputo inserirla in molti contesti senza che nulla sembrasse forzato – da Sanremo allo Eurovision al Gran Premio di Monza al Primo Maggio al Miami. E, nel mezzo, un tweet di complimenti dal Presidente della Bolivia. Ma tutto questo parte dal suo talento: dall’aver maturato una scrittura bella e libera, dal sapere interpretare lo spirito del tempo con un pop sensibile, intelligente e ambizioso. “Bolivia” è uscita con 2640 a gennaio e si è trasformata in un insospettabile inno contro il populismo mentre l’Italia iniziava a vederne gli effetti e i danni. Dentro il suo escapismo ingenuo c’è un desiderio profondo, condiviso nell’incredulità degli eventi che si sono susseguiti nel 2018. In un anno di porti chiusi, Francesca ha scritto una verso che è diventato sempre più vero: “è l’umanità che fa la differenza”.


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