Lady Gaga, nella sua testa e nella realtà

Io la capisco, Lady Gaga. La capisco veramente quando, rispondendo a una domanda sulle vendite di ARTPOP durante il suo keynote al SXSW, sbotta: “What the fuck-all I have to do with Katy Perry?”. Perché è vero che lei è molto più vicina ai suoi numi tutelari David Bowie e Freddie Mercury o, per fare un nome più recente che come lei scosse e sconvolse il mainstream, Marilyn Manson. Nella sua testa, Gaga non ha nulla in comune con le tante interpreti che si limitano a dedicare mezz’ora del loro tempo per cantare su basi precotte di produttori scandinavi. E, sempre nella sua testa, Gaga sta ancora facendo del suo meglio, sta incidendo musica interessante, sta salvando ragazzini sull’orlo del suicidio, sta diffondendo l’arte ogni volta che esce di casa. Ma nella realtà, Gaga è una donna americana bianca nata a metà degli anni ’80 che fa canzoni pop come Katy Perry. Le due si scontrano nelle stesse classifiche, sono presenti sulle stesse piattaforme che conteggiano visualizzazioni e stream, ambiscono a entrare in rotazione sulle stesse radio e, quando il montatore di StudioAperto cercherà il sottofondo adatto al servizio di costume, dovrà scegliere tra “Roar” e “Applause”. E poi ci sono i fan, che fomentano gli scontri, usano numeri a caso per dimostrare la vittoria di una o dell’altra e sono convinti di avere un peso quando, invece, queste battaglie si giocano soprattutto sugli ascoltatori occasionali. Cos’ha quindi in comune Lady Gaga con Katy Perry? Per il 99% della popolazione, tutto.

Io la capisco, Lady Gaga. La capisco veramente quando, in un’esibizione di pochi giorni fa sempre ad Austin, urla: “Fuck pop music, this is artpop”. Perché è in sella a un toro meccanico che ha una tastiera all’estremità e la sta letteralmente suonando coi piedi, ed è ancora zuppa del liquido verde fosforescente che un’artista le ha vomitato addosso. Nella sua testa, è un’installazione vivente contro lo stupro. Nella realtà, ha solo servito su un piatto d’argento qualche battuta per Twitter e ha fatto incazzare Demi Lovato e le persone bulimiche.

Io la capisco, Lady Gaga. La capisco veramente quando dice che non ha voglia di suonare “Applause” al SXSW. Nella sua testa, è una canzone che non c’entra niente con uno spettacolo preparato apposta per un contesto diverso dal solito e in scaletta proprio non ci dovrebbe stare. Nella realtà, c’è una marca di patatine che ha speso due milioni e mezzo di dollari per averla e un executive che dichiara a Billboard che, per quella cifra, sperava almeno di sentire “Alejandro”.

Io la capisco, Lady Gaga. La capisco veramente quando, sempre nel keynote/intervista d’ursiana suggerisce ai giovani musicisti di non cercare “una cazzo di casa discografica” perché non ne hanno bisogno. Nella sua testa, si sta ribellando a un sistema che fa fatica a comprenderla e spera che ogni sfigato con una chitarra e una collezione di parrucche possa esprimersi in libertà senza diventare schiavo delle classifiche su iTunes. Nella realtà, qualcuno della Interscope dovrebbe dirle che il prossimo album allora potrebbe farselo da indipendente, e poi vediamo se riesce a permettersi di fare mostre al Louvre, fabbricare vestiti volanti e suonare nello spazio. Perché anche se, nella migliore delle ipotesi, Lady Gaga un giorno potesse ambire a un modello à la In Rainbows, sarebbe comunque grazie allo status raggiunto col sostegno di una casa discografica che per anni ha incoraggiato e poi tollerato le sue stranezze. Finché le stranezze hanno sotterrato la musica.

YouTube Music Awards: morte e rinascita della cerimonia di premiazione moderna

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Non si capiva bene cosa sarebbero stati gli YouTube Music Awards. Nonostante i Google ads che campeggiavano ovunque negli ultimi giorni e gli ostinati pre-roll della piattaforma, il formato di questa cerimonia di premiazione, le sue regole di voto e perfino i suoi orari erano tutt’altro che chiari.

La diretta è iniziata domenica pomeriggio da Seoul, poi Mosca, Rio, Londra e infine New York. Nelle prime tre città, si esibivano gruppi locali, mentre il countdown show è stato trasmesso dagli studi di Abbey Road, dove un bravissimo Adam Buxton ha proposto qualcosa di molto simile agli spettacoli della sua serie BUG. Il programma – chiamiamolo così – univa sketch dal gusto molto britannico ed esibizioni di grossi nomi (Dizzee Rascal, Tinie Tempah) a comparsate di YouTube star mai sentite prima. La qualità era televisiva, volendo usare l’aggettivo come un complimento e considerando (erroneamente) la TV come modello e punto di arrivo.

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La cerimonia vera e propria da New York ha invece demolito in fretta l’award show come lo conosciamo. Spike Jonze, malgrado non avesse eventi dal vivo nel suo curriculum, non era solo l’unico regista che potesse dirigerla: era l’indispensabile filo conduttore per unire mondi diversi senza snaturarli. Professionale e amatoriale, patinato e DIY, pop e indie: proprio come accade su YouTube, l’unica cosa che avevano in comune ospiti, esibizioni e premiati era la piattaforma.

I due conduttori, Jason Schwartzman e Reggie Watts, avevano una scaletta approssimativa della serata, ma dovevano superare piccole prove continue per fare il loro mestiere. Insomma, l’idea che Jonze aveva avuto per il video di “Drunk Girls” di LCD Soundsystem applicata a una cerimonia di premiazione. Quindi, se di solito questi eventi mirano alla perfezione impossibile e alla prima gaffe sembra andare tutto a rotoli, gli YTMA partivano da una situazione in cui volutamente va tutto a rotoli. Ed è incredibile quanto ci si abitui in fretta a guardare persone che non sanno bene cosa stiano combinando, ma non dovendo preoccuparsi di battute già scritte e tempi morti, pensano solo a divertirsi – e il pubblico con loro.

Le esibizioni degli artisti sono state soprannominate live music videos e in alcuni casi hanno davvero meritato questa nuova definizione: per gli Arcade Fire, Greta Gerwig ha ballato “Afterlife” tra incredibili cambi scena (c’è molto di twee, sì); per M.I.A., Fafi ha creato un circo fluo con tunnel di luci al neon e hula hoop; per Avicii, Lena Dunham ha messo in scena con Vanessa Hudgens una vendetta passionale in pista da ballo (insomma, un mini-episodio di Girls o la storia che Robyn racconta in “Dancing on My Own” con finale sanguinolento). Ma anche gli artisti che non hanno sfruttato appieno questa libertà creativa, si sono espressi al meglio: Lady Gaga si è seduta al piano mentre una telecamera a mano documentava le sue lacrime per la prima esibizione di “DOPE”; Eminem non aveva bisogno di nulla, nemmeno del colore, perché l’ipnotico debutto dal vivo di “Rap God” entrasse nella storia.

Le nomination e i premi, ovviamente, non erano che una scusa per proporre un nuovo contenitore e mostrare le possibilità di un evento spontaneo e orgogliosamente anarchico che dia un buon motivo agli artisti per partecipare e ai fan per stare a guardare. E anche se oggi il contatore delle visualizzazioni non ha mai superato 200.000, la televisione ha già un problema in più.

 

Madonna: l’immacolata traduzione

In questi giorni  di campagna promozionale di Madonna, tra mille dichiarazioni, interviste e finte jihad contro Lady Gaga, si è letto di tutto. Ma oggi esce una notizia che sembra quantomeno strana: Madonna ha insultato (o forse solo lanciato una frecciatina a) Britney Spears. Buffo. Magari è il caso di andare a cercare cos’ha detto la diretta interessata, magari in inglese.

Madonna, intervistata da The Advocate, sostiene che il pubblico gay trovi un modello in Lady Gaga perché non rientra nei canoni convenzionali e ha un passato difficile. Ci sono molte cose contestabili in questa affermazione, ma non entriamo nel merito e limitiamoci ad analizzare le parole da lei pronunciate.

I can see that they connect to her kind of not fitting into the conventional norm. I mean, she’s not Britney Spears. She’s not built like a brick shithouse. She seems to have had a challenging upbringing, and so I can see where she would also have that kind of connection.

Ora, built like a brick shithouse non è inglese da liceo e non è un’espressione particolarmente felice né comune, ma con un po’ di impegno ci si può arrivare. Dicesi built like a brick shithouse una persona grande e grossa, forte e robusta. (Tuttavia, secondo alcuni, vorrebbe anche essere un complimento a una bella ragazza perché un tempo le latrine erano in legno… Per chi volesse approfondire, basterà la definizione su Wiktionary; per i più esigenti, tenete, vi ho fatto uno screenshot dal Dictionary of Catch Phrases della Routledge). Insomma, per estensione, Madonna vuole dire che Britney ha basi solide (urca!), mentre Gaga è più fragile e vulnerabile. E soprattutto, nessuno ha insultato nessuno.

Andiamo a vedere com’è stata riportata la notizia su vari siti italiani.

Vanity Fair sceglie (saggiamente) di non tradurre per intero la citazione e saltare la shithouse.

Cioè, non è Britney Spears. Ha avuto un’adolescenza difficile […]

Quelli di MTV.it sono già più fantasiosi, ma si tengono sul vago e non ci ricamano troppo sopra.

Cioè, non è Britney Spears. Lei non è ‘costruita’.

Spetteguless inizia a porsi qualche domanda sull’espressione idiomatica e preferisce non tradurla, ma offre due opzioni: “bella tettona” e “cesso a mattoni”.

Voglio dire, non è Britney Spears. She’s not built like a brick shithouse (slang uk che può passare sia come complimento – bella tettona – che come clamorosa offesa – cesso a mattoni).

E ora che ci avviciniamo pericolosamente ai gironi dei nanopress, vi avverto, tutto può succedere. Cosmomusic, ripreso poi da Paperblog, riassume liberamente con il titolo “Madonna: ‘Britney Spears è meglio di Lady Gaga'” e adotta una curiosa variante sul tema edilizio.

Sì, voglio dire, non è Britney Spears. Lei non è costruita come il mattone di una casa.

E infine, quelli di I Love Popmusic si sbizzarriscono e ci regalano la perla definitiva.

Voglio dire, lei non è Britney Spears. Lei non è una schifezza (cesso) costruita di mattoni.

La stessa traduzione finisce poi su Musickr che titola direttamente: “Madonna: ‘Britney Spears è un cesso'”.

Tutto questo è solo la punta dell’iceberg, che è in gran parte costituito da commenti e link su Twitter e Facebook. Una frase un po’ ambigua che confonde anche gli anglofoni è stata tradotta in maniera fantasiosa o superficiale, e il risultato è un’altra battaglia in una guerra immaginaria tra popstar che serve solo a portare tanti clic.

“The Edge of Glory”: cos’è andato storto?

Il nuovo video di Lady Gaga è bruttino. È a malapena un video: non c’è un concept, non c’è la solita creatività. Gli unici che possono dirsi contenti di cinque minuti di Gaga che si struscia al parapetto sono quei fan che arte, emozione e ispirazione ovunque. Io invece penso che talvolta sia bene liberare Gaga dal peso politico e simbolico che si trascina dietro e ridimensionare le sue azioni e il suo mestiere. Lady Gaga è una musicista e ha fatto un video bruttino. Capita.

Tuttavia, come dice Popjustice, “non so cosa sia più preoccupante: il fatto che [Gaga] abbia realizzato qualcosa pur sapendo che è una merda o la possibilità che lei pensi sia bello”.

Inizialmente, Joseph Kahn doveva essere il regista di “The Edge of Glory”. Per quanto la sua carriera, a mio parere , includa alti e bassi, era una buona idea assegnare la canzone a un regista vero, un professionista con alle spalle una cinquantina di video mainstream. È infatti da “Telephone” che Gaga si affida a creativi con altre esperienze: due fotografi per “Alejandro” e “Born This Way”, una coreografa per “Judas”. Coinvolgere persone con curricula non del tutto pertinenti può portare idee interessanti, ma non garantisce la qualità del prodotto finito – né tantomeno lo garantisce aggiungere “haus of Gaga” ai credits.

Per ora, tutto quello che sappiamo è che, in un momento imprecisato delle riprese, Kahn ha abbandonato il progetto. Dal leak di alcune immagini di produzione si intuiva la presenza di ambientazioni diverse e forse un concept più complesso. A un certo punto si è parlato di sirene.

 

Forse nei prossimi giorni verrà fatta chiarezza e scopriremo com’è nato lo screzio tra i due, ma già che ci siamo, tanto vale lanciare un’ipotesi: con Clarence Clemons in fin di vita, Gaga ha deciso di smontare il baraccone. La canzone è dedicata al nonno defunto di Stefani e, come spiega lei stessa, parla de “l’ultimo momento prima di lasciare la Terra”. Dato che queste potrebbero essere le ultime immagini ufficiali di Clemons, forse Gaga non se l’è sentita di legarlo per sempre a un video con coreografie complesse e parrucche colorate. In quest’ottica, “The Edge of Glory” sarebbe l’unico tributo possibile: una strada deserta, lui e lei, un sassofono.

Lady Gaga, “Born This Way”

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Non ho mai analizzato il fenomeno Lady Gaga in maniera esaustiva – cosa che, per un blog di musica pop, è alquanto vergognosa. La verità è che mi prese in contropiede. Quando arrivarono “Just Dance” e “Poker Face”, mi parvero business as usual. Quando, esattamente due anni fa, fu ospite dei Pet Shop Boys per un medley celebrativo ai Brit Awards, mi chiesi cosa ci faceva sul palco quella robotica starlette con il duo che ha costruito il pop. La risposta arrivò qualche mese dopo con “Bad Romance”.

Oggi è uscito “Born This Way”, il singolo della beatificazione. L’evento è stato sapientemente centellinato: il titolo svelato agli MTV Awards, la copertina di Nick Knight e il testo pubblicati su Twitter. E siamo solo a metà strada: domenica arriverà la performance ai Grammy, e infine il video di Jonas Åkerlund, che probabilmente creerà un’anticipazione simile a quella di “Thriller”, battezzerà ufficialmente la canzone.

“Born This Way” non poteva soddisfare le aspettative di tutti. Anzi, essendo un pezzo già iconico ancor prima di sfiorare le nostre orecchie, non poteva soddisfare nessuno. In questo senso, Gaga sembrerebbe aver compiuto un errore: svelando il testo con settimane d’anticipo ha fatto sì che l’ascoltatore idealizzasse “Born This Way” all’inverosimile; ha permesso che ognuno si appropriasse della canzone proiettandovi suoni (e immagini) virtuali. Ma ha anche lasciato il tempo ai fan di legare una canzone ancora inesistente a ricordi veri e di leggere qualcosa di sé in quella serie di versi (o meglio, slogan) ancora privi di un contorno musicale. Tutto questo, a contrario dell’hype, non può sfumare. E Gaga lo sa. Con questa strategia, oggi può aver seminato piccole delusioni, ma sul lungo termine ha agito con precisione chirurgica.

“Born This Way” ha avuto questo potere ancor prima di nascere perché è (e vuole disperatamente essere) una canzone universale. Nel primo verso fa riferimento all’amore e a Dio invocando la tolleranza; nel secondo verso c’è già una call to action alquanto aggressiva (“put your paws up”); nel terzo ti spiega che devi agire perché sei nato così; nel quarto cita la mamma e evoca immagini di infanzia. In quattro righe, Lady Gaga ti ha già detto chi sei, cosa devi fare, perché devi farlo e ha già iniziato a sbirciare nel tuo album di famiglia. Ha parlato di sé, ha parlato di te e, se ci credi, c’è pure Dio. E questo avviene per una canzone la cui copertina ritrae Stefani con finti impianti sottopelle come corna luciferine. Sacra e profana: è nata così.

A un primo ascolto, l’impatto musicale è decisamente meno forte rispetto ai singoli del passato. La voce – che non si ferma praticamente mai per più di quattro minuti – deve essere protagonista assoluta perché i suoni non possono affossare il messaggio. Negli ascolti successivi, però, si inizia a notare che sullo sfondo c’è un club in corto circuito. La discoball esplode e dentro c’è il sangue. Quella che credevamo di liquidare come un plagio di “Express Yourself” di Madonna, dopo pochissimo lascia affiorare la sua unicità: le parti che la compongono iniziano ad avere un senso, si apprezzano le variazioni. È camp, è industrial: è nata così.

Quando la musica si fa da parte nuovamente durante il bridge, Gaga decide che i giri di parole sono finiti: chiamiamo le cose coi loro nomi. E se dal punto di vista stilistico il suo elenco è pleonastico, non si può certo dire che non colga nel segno (vi viene in mente un’altra canzone pop contenente parole come “disabilities” e “transgender” nel testo?).

Le canzoni di self-empowerment sono sempre esistite (e questa non è neanche la migliore), ma da Gaga trapelano un’onestà e una fedeltà alla propria missione difficilmente riscontrabili in altri artisti. “Born This Way” è l’inizio di una nuova fase della sua carriera: non solo può, ma deve essere esplicita e estrema nel modo in cui si presenta, suona e scrive.

Lady Gaga è importante. Non è nata così, ma ha saputo diventarlo e merita di esserlo.