#MetaMoro: come vola via una bolla

di Federico Pucci 

Alla fine Claudio Baglioni è riuscito davvero a mettere la musica al centro del Festival di Sanremo. A tenere banco, infatti, è stata la storia che ha coinvolto “Non mi avete fatto niente”, il brano portato in gara da Ermal Meta e Fabrizio Moro. La sapete già fino alla nausea: nessuno pronuncerà qui la parola con la P, e per riprendere le tappe di questa storia partita da uno scoop di Giulio Pasqui su AltroSpettacolo rimando a un mio thread su Twitter.

La canzone, alla fine, è stata riammessa nella competizione dopo una sospensione durata un giorno. A seguito di un’analisi tecnica – compiuta non si sa esattamente da chi: il comunicato non menziona né la Commissione Musicale che ha assistito Baglioni nello scegliere i brani, né il Comitato di Controllo del Festival – la Rai ha spiegato che il requisito di novità della canzone non veniva meno: “[…] i due brani hanno stesure, durata, testi e melodie diverse – dice la nota – Inoltre nel brano “Non mi avete fatto niente” la somma degli stralci utilizzati non supera i 1’03” secondi su una durata totale del brano stesso di 3’24” e pertanto è inferiore al terzo dell’intero brano”.

Così, nella puntata di ieri i due cantautori sono tornati a esibirsi, di nuovo favoriti in una competizione non facile. La questione, insomma, è chiusa. Però stamani, su Repubblica, il maestro Vince Tempera mi ha fatto pensare di nuovo alla storia. “Gli altri concorrenti cosa dicono? Nessuno ha ancora reagito? Contro una decisione di questo tipo chi ricorre ha ottime probabilità di vincere”, dice, mentre spiega il pericolo di una decisione come quella presa dalla Rai. “Così ogni anno chiunque può presentarsi rifacendo pezzi già editi”.

E allora mi è venuto da ricontrollare quei conti, usando la versione in studio per comodità: davvero la somma degli stralci utilizzati è inferiore a un terzo del brano? E un terzo misura cosa: la durata? Il numero di parole e note riciclate?

Cominciamo dal tempo: su un totale 208 secondi, stando molto stretti con il cronometro, i ritornelli (le parti evidentemente riadattate a partire da “Silenzio”) occupano circa 80 secondi, ai quali bisogna aggiungere i 6 secondi finali dove Fabrizio Moro intona le stesse parole e lo stesso inciso melodico che Ambra Calvani cantava in un’altra sezione della canzone: “Sono consapevole che tutto più non torna, la felicità volava come vola via una bolla” (un segmento che raramente è stato preso in considerazione). Siamo insomma sicuramente sopra gli 80 secondi. Ottanta per tre fa duecentoquaranta secondi: la somma degli stralci riutilizzati arriva ben oltre i 63 secondi citati dalla Rai, che non si capisce bene come abbia fatto i conti, probabilmente con lo stesso orologio con il quale annuciarono il Capodanno 2016 con più di un minuto di anticipo!

Ma il regolamento di Sanremo parla anche solo di “parte musicale” o “testo letterario”, in merito all’originalità di una canzone: bene, le liriche di “Non mi avete fatto niente” rispettano la regola del terzo? No. Usando i capoversi del testo per come è riportato dal sito di TV Sorrisi e Canzoni si contano 30 versi su 67 riciclati, cioè poco meno della metà. Ma se non ci fidiamo dei capoversi, c’è sempre il conteggio delle parole: su 381 parole cantate con intensità, 156 sono prese in prestito dalla canzone “Silenzio”. Molte più di un terzo, insomma.

Ok, ma melodia e parole non sono tutto: per caso “Non mi avete fatto niente” ricalca in qualche altro modo la sua canzone genitrice? A mio parere, sì. Basta guardare le dinamiche dell’arrangiamento, cioè l’equilibrio tra i volumi, tra gli strumenti usati o meno, tra le intenzioni, che si misura accostando la prima e la seconda parte delle due canzoni. Entrambe le canzoni partono con strofa + ritornello senza base ritmica e proseguono con strofa + ritornello ritmato, secondo un pattern che tiene il tempo in quarti con la cassa in levare e il rullante in battere (è quello stile che ad alcuni sembra patchanka, ad altri Mumford & Sons). In termini di linee generali dell’arrangiamento musicale, di veramente originale c’è il bridge, con la voce sospesa su poche note di accompagnamento: il bridge dura 11 di 208 secondi.

Certo, anche la melodia delle strofe è un altro elemento completamente originale: pure Meta e Moro, come Calvani e De Pascali, cantano frasi che si protraggono lungo diverse battute, come fossero lunghi pensieri enunciati in un solo respiro, ma l’andamento ritmico di “Non mi avete fatto niente” è scandito in modo peculiare, con successioni di sedicesimi che si fermano e ripartono. Tuttavia, la gabbia armonica in cui si muovono queste note è la stessa, perché in entrambi i casi la progressione di accordi ruota intorno alle tonalità relative (un espediente comunissimo, peraltro, nel pop): nel caso di “Non mi avete fatto niente” si tratta di Mi diesis minore e Sol diesis maggiore; nel caso di “Silenzio” sono Sol minore e Si bemolle maggiore.

Allora, mentre i due cantautori si accingono a uscire trionfatori del Festival (se non nella gara, nel cuore del pubblico: il loro brano è popolarissimo, anche lontano dalla Sala Stampa di Sanremo) ripensiamo alle parole del maestro Tempera. Ha senso lasciare aperti questi spiragli di dubbio e interpretazione arbitraria in un concorso che per tradizione ha come unica regola la “novità” della canzone? Vero, i tempi cambiano, fino al 2013 anche la Recording Academy (quella dei Grammy) non ha voluto riconoscere premi per la miglior canzone dell’anno a brani che contenessero interpolazioni o campionamenti, regola assente solo per la categoria del rap e dell’hip-hop. Ma nessuno ha chiesto a Kanye West di presentarsi all’Ariston, e le regole che valgono per la musica in generale non sempre si applicano alla kermesse, nemmeno quando la musica è “al centro”.