Intervista a Stromae

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Prima che uscisse Racine carrée, Stromae fu filmato da un fan mentre mangiava un taboulé nella sua macchina. La cosa ebbe un’eco mediatica inspiegabile: i telegiornali belgi titolavano “Stromae aggredito da un fan”. Lui non capì le ragioni di questo interesse morboso, ma decise di interpretarlo come una richiesta del pubblico. Nel video di “Formidable” si presentò quindi ubriaco in strada per testare la reazione dei passanti reali e virtuali, a metà tra candid camera ed esperimento antropologico. E sabato sera riproporrà la performance all’Ariston, fingendosi sbronzo sul palco. Nel frattempo, l’ho incontrato per parlare del suo pop bastardo e dell’album più venduto in Francia nel 2013.

Non sembri uno a cui interessano le classifiche, ma a me sì. E la tua “Alors on danse” è l’ultima canzone in lingua francese che negli ultimi dieci anni ha raggiunto la vetta della classifica italiana. È indicativo del fatto che c’è poco scambio musicale tra paesi così vicini. Non lo trovi strano?
Prima di tutto, le classifiche mi interessano – faccio musica per essere felice e perché è l’unica cosa che so fare, ma i risultati mi interessano! Non ho mai pensato che avrei avuto il sostegno di paesi non francofoni, ma se sono qui è la dimostrazione che può funzionare. In fondo, noi – inteso come non anglofoni – siamo abituati ad ascoltare musica di cui non capiamo le parole, ma possiamo ballarla e comprenderne le emozioni. Mi chiedo perché non possiamo continuare a cantare nella nostra lingua madre, che è il modo più onesto e istintivo di esprimersi. E non voglio sentire che l’inglese è più internazionale: il fiammingo è internazionale, il lingala è internazionale, l’italiano è internazionale. Dobbiamo provarci, dobbiamo credere nelle nostre culture. Forse, dopo dieci o vent’anni di studio, mi sentirò di esprimermi in inglese, ma io sono di Bruxelles: credo che gli ascoltatori non vogliano l’imitazione di un americano o un inglese, ma un ritratto di Bruxelles.
C’è chi per definire la tua musica ha parlato di “dance impegnata” – a me non piace molto, perché suona un po’ come “carota e bastone”: musica facile per fare passare messaggi difficili. Ti ci ritrovi, in questa definizione? È una scelta voluta?
No, questo è il solo modo di esprimermi che conosco. Mi esprimo digitando su una tastiera, come tutta la mia generazione, e la musica elettronica ne è un riflesso. Anche perché è difficile trovare i soldi per incidere un album, e produrre tutto al computer ha anche senso dal punto di vista economico. E poi non si può rinchiudere tutto in generi e famiglie. Queste definizioni finiscono con l’intellettualizzare troppo ciò che faccio.
Nel tuo caso, in effetti, parlare di generi musicali è diventato quasi superfluo. Il tuo album è davvero vario e gli stili musicali spesso si associano ai contenuti (come la morna per l’ode a Cesaria Evora).
Diciamo che ci sono dei codici – hip hop, trap, coladeira, eccetera – che aiutano a classificare le cose, ma la musica viene prima degli stili. E lo snobismo genera clan. Già quando facevo hip hop, faticavo a sentirmi parte di una famiglia, di una corrente. Questo mi ha aiutato a staccarmi.
Come ti ponevi davanti ai cliché dell’hip hop? Mi sembri lontanissimo dalle macchine di lusso.
È una cosa che criticavo quando facevo rap, poi ho pensato: “Ma se non ti piace, perché non fai dell’altro anziché lamentarti?” È il paradosso di qualcuno che decide di portare avanti una battaglia quando non c’è nulla contro cui combattere veramente. L’hip hop è una cultura molto varia e c’è pieno di cose da scoprire: ho preso ciò che m’interessava e ho iniziato a guardare altrove.
È un po’ quello di cui parli in “Bâtard”?
Più o meno. “Bâtard” è soprattutto la riflessione di una persona diplomatica come me. Mi sono chiesto: “Sei meglio di un estremista, o anzi, di un istintivo?” No, non sei meglio, hai solo più paura di esporti.
È un approccio molto maturo…
Non so, cerco di rimettermi al mio posto da solo.
…e anche umile. Parliamo di marketing, perché ogni tuo singolo è stato associato a un’idea visiva molto forte, che riproponi anche dal vivo. Continuerai così anche coi prossimi singoli, se ce ne saranno?
L’idea è continuare così e associare idee visive precise e personaggi diversi a ogni canzone. Ci sono molti modi di esprimersi e m’interessano tutti – dai vestiti, ai video, alla recitazione. Tutto ciò che gravita attorno alla musica ha una grandissima importanza. Sono uno che fa le 5 di mattina con gli stilisti e i grafici per trovare la fantasia giusta, ed è questo ciò che mi appassiona. Non demonizzo il marketing, ma nel mio caso lo scopo non sono i soldi ma la soddisfazione del prodotto finale.

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La recensione di Racine carrée

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