Intervista ad Alison Goldfrapp – Tales of Us

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Il mio contatto alla Mute mi informa che l’intervista con Alison Goldfrapp è slittata di dieci minuti perché l’artista è ancora occupata con la telefonata precedente. “Si vede che oggi è chatty,” dice, “meglio così!” “Chiacchierona” è un aggettivo che non avrei mai pensato di associare alla voce dei Goldfrapp, ma è vero: ha voglia di spiegare nei dettagli un nuovo album a cui è già molto legata. Ci tiene al punto che, quando le chiedo di parlarmi della sua traccia preferita o di quella che ritiene più interessante, si rifiuta di scegliere. “Sono tutte le mie preferite e sono tutte interessanti!” Allora scelgo io: “Annabel”. Il secondo brano di Tales of Us è ispirato a un libro di Kathleen Winter sulla famiglia di un bambino intersessuale in un villaggio canadese. “È una storia affascinante che mi ha commosso ed è raccontata in modo sincero e profondo.”

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Ma è leggendo un altro libro, Carol di Patricia Highsmith, che Alison ha trovato il concept per l’album: la centralità della protagonista nel romanzo l’ha spinta a seguire lo stesso metodo per la scrittura delle canzoni. “Ho iniziato a costruire storie attorno a dei personaggi di fantasia: mi piaceva l’idea di una collezione di testi guidati da un elemento narrativo.” Come “Annabel”, otto delle dieci tracce dell’album narrano di personaggi presi in prestito da altri autori, ma a fare la differenza è la prospettiva di Alison perché “quando racconti la storia di qualcun altro, racconti anche qualcosa di te”.

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Le chiedo quindi se si sia ispirata anche al cinema, dato che il video del primo singolo, “Drew”, ricorda vagamente The Dreamers di Bertolucci. Non conosce il film (“Sei la seconda persona che me lo fa notare oggi!”), ma il cinema d’autore europeo è un’ispirazione costante: ogni canzone è come un corto e l’aspetto visivo del progetto, in bianco e nero, “esalta la narrativa con una forza e una semplicità che non si può ottenere col colore”. È di certo un’estetica molto lontana da quella di altri capitoli della discografia del duo, ma ci siamo abituati: dagli esordi morriconiani di Felt Mountain (2000) all’electropop avanguardistico di Black Cherry (2003) e Supernature (2005), dall’intimità acustica di Seventh Tree (2008) alle incursioni anni ’80 di Head First (2010), i Goldfrapp hanno addestrato i fan a cambiamenti radicali di immagine e suono. Un giorno, Alison canta di una serata in discoteca; quello dopo, di un ricovero al pronto soccorso per attacchi di panico (“E sono esperienze molto legate tra loro!” scherza).

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Avanzo l’ipotesi che ogni sua metamorfosi sia paragonabile all’adozione di alter ego o stage persona diversi, ma la cantante risponde con molta naturalezza di volere solo provare qualcosa di nuovo. “Ci sono due mondi: quello aggressivo ed elettronico di Supernature e Head First, e quello pastorale, bucolico e orchestrale di Seventh Tree e Tales of Us. Sento che quest’ultimo mi appartenga sempre di più, che sia quello più vicino a me.”

Le faccio notare che, in effetti, nella campagna promozionale di Head First non sembrasse particolarmente a suo agio. E, con un po’ di timore, le confesso come questa nuova veste corrisponda molto di più alla mia idea di Goldfrapp. Non vuole parlare di Head First, ma aggiunge di non avere mai fatto nulla per seguire una moda o assecondare pressioni esterne sin dal primo disco. “Tutti erano molto confusi quando abbiamo pubblicato Felt Mountain, e li abbiamo confusi ancora di più con Black Cherry perché quel genere di elettronica non era affatto in voga, allora. Ma i nostri fan, quelli veri, sono sempre aperti alle novità. In fondo, se guardi la collezione di dischi o le playlist delle persone che conosci, non troverai nessuno che ascolta solo un tipo di musica. E noi non possiamo accontentare tutti.” Suggerisco che, però, considerando la loro carriera nel complesso, il voler fare sempre di testa loro ha dato ottimi frutti. “E questa è la cosa più importante.”

Tales of Us esce il 9 settembre

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