Mutya Keisha Siobhan: la reunion e il primo concerto

MKS
Poco prima che Mutya, Keisha e Siobhan salgano sul palco, qualcuno mormora: “it’s going to be the gig of the year”. Viene da sorridere e ricordargli che siamo pur sempre in una mezza bettola per lo showcase di un gruppo che non si presenta in questa formazione da 12 anni. C’è il rischio che possano essere un po’ fuori forma o che, peggio, propongano nuovi brani mediocri sgonfiando l’hype per un ritorno che non si è ancora del tutto concretizzato. Questo concerto è una mossa cauta, una prova della prova, e avviene quasi a porte chiuse, considerando che il locale può contenere al massimo mille persone. Eppure quei pochi biglietti sono andati esauriti in 14 minuti e là fuori c’è chi li rivende al quintuplo del prezzo originale.

Tutto riparte dal principio, con tre sgabelli sul palco – sinonimo inequivocabile, per chi ha seguito l’epopea della band, di “Overload”. Il singolo di esordio delle Sugababes suona ardito ancora oggi: era l’incontro, sfacciatamente minimale, tra R&B americano e uno stile britannico ancora influenzato dalla garage. Non è un caso se, a farlo incidere a quelle tre adolescenti che bazzicavano in uno studio di registrazione, fu lo stesso manager delle All Saints. Proprio come le All Saints furono la risposta credibile e adulta a quel carro di Carnevale chiamato Spice Girls, le Sugababes mostravano un aspetto più serio e contenuto delle rivali (le Atomic Kitten prima, le Girls Aloud dopo). Ballavano poco, sorridevano ancora meno.                        MKS1Non inizieranno certo a ballare stasera, ma sorridono molto, perché trovarsi davanti un pubblico così affezionato e partecipe – a Londra, per giunta, dove a malapena si applaude – va oltre ogni più rosea aspettativa. Il boato più forte arriva quando Siobhan, che lasciò il gruppo dopo il primo album e si avviò verso un’eccellente ma sfortunata carriera solista, intona il bridge di “Stronger”. Quella parte era di Heidi Range, la sua sostituta (tanto talentuosa quanto priva di carisma), e adesso spetta a lei. Nei video su YouTube che catturano quel momento, la voce di Siobhan si perde tra le urla del pubblico: c’è, oltre all’apprezzamento per la cantante, l’eccitazione di vedere per la prima volta cosa sarebbe successo se le decisioni di qualche manager e le lotte intestine non avessero compromesso la sua presenza nella band. Per ragioni simili, se ne andò anche Mutya nel 2005, all’apice del successo del gruppo, per un progetto soul mai decollato. Finì poi nella versione VIP del Grande fratello e in qualsiasi programma che volesse un parere sulla sua amica Amy Winehouse.

Se un tempo le differenze le portarono a tensioni e litigi, ora fanno di loro un gruppo versatile e consapevole della sua unicità. I sette inediti presentati stasera mettono in luce una varietà che forse in passato, per mancanza di esperienza ed età, non avrebbero saputo ottenere. “No Regrets”, prodotta da Naughty Boy, è un’intensa power ballad che sancisce l’armistizio tra le tre ragazze; “Love Me Hard”, che porta il leggendario marchio Biffco, è un’altra ballata molto classica su un beat sintetico e valorizza al massimo l’unione delle loro voci; “Boys”, alla quale ha lavorato anche MNEK, è la più veloce e leggera (diciamo pure che il testo è un po’ cretino), ma avendo un arrangiamento marcatamente elettronico, ci guadagnerà in versione studio. “Boys” doveva anche essere il primo singolo, finché Dev Hynes non arrivò con una canzone nettamente superiore che, come tutte le recenti produzioni del musicista inglese, trova un’incredibile armonia tra retro e modernità: suona familiare, ma non c’è nulla di simile in giro. Nel bis, il crescendo finale di “Flatline” viene arricchito dai versi di “Push the Button” e per qualche strana ragione funziona alla grande. È l’ultima sorpresa di un concerto che qualcuno, ancora prima che iniziasse, aveva già definito the gig of the year. La cosa incredibile è che ci aveva visto giusto.