Primavera Sound 2013

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primaveraTra meno di una settimana inizia la tredicesima edizione del Primavera Sound di Barcellona, un festival che non ha più bisogno di presentazioni: è diventato talmente mainstream che quest’anno ci vado persino io. La ragione principale, non lo nego, era quella di intercettare l’unica data europea di Fiona Apple, che però ci ha ripensato. Poco male: la line-up è tra le più ricche e interessanti dell’estate (il buon Inkiostro consiglia di creare la propria tabella di marcia con Clashfinder) e vagherò tra un palco e l’altro cercando wi-fi come un rabdomante digitale per raccontare il festival.

Eurovision Song Contest 2013: la guida alle canzoni (seconda parte)

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Bentornati, amici europeisti, per la seconda infornata di concorrenti, dalla L di Lettonia alla U di Ungheria. Troverete le canzoni valutate in base a qualità, locura e possibilità di vittoria dopo il salto. Ma prima, due doverose parole su Marco Mengoni.

Quando ho sentito “L’essenziale” al festival, la mia reazione iniziale è stata riassumibile con “meh”. Dato che commentavo in diretta, è tutto nero su pixel a dimostrare quanto mi sbagliassi: dopo cinque giorni, la cantavo in macchina facendo le facce intense; dopo qualche mese, mi sembra una delle canzoni d’amore sanremesi più belle dai tempi di Massimo Ranieri. Non è un pezzo da primo ascolto, può non conquistare immediatamente.

Allo Eurovision Song Contest, ci si gioca tutto in tre minuti: quasi nessuno sa chi sei e il 90% degli spettatori ti sta ascoltando per la prima volta. È sempre interessante scoprire le reazioni degli stranieri a qualcosa che conosciamo molto bene ed è divertentissimo leggere cosa twittano dall’estero durante l’esibizione del nostro concorrente. Come andrà con Mengoni, non lo sappiamo con certezza, ma i commenti a questo video possono fornire qualche indizio.

L’esibizione è tratta da un evento di presentazione dello Eurovision tenutosi ad Amsterdam a fine aprile. Alcuni commentatori di YouTube si complimentano per la canzone, molti altri si chiedono se sia drogato, ubriaco o cosa. Non c’è poi tanta differenza coi numerosi italiani che, durante una sua splendida interpretazione di “Ciao amore ciao” al festival, hanno preferito twittare che aveva un po’ di bava ai lati della bocca. Ma è normale: soprattutto nel commentare il frammento di una diretta, si nota una cosa.

Quando Nina Zilli si esibì a Baku l’anno scorso, aveva una canzone di gran lunga superiore alla media, ma salì sul palco con la storica acconciatura di Amy Winehouse. Il pubblico estero su Twitter notò quello e basta. Si sprecavano le battute su come la cantante inglese fosse risorta in Italia e qualcuno dotato di un’eccezionale dono della sintesi scrisse “Amatriciana Winehouse”. Sarei pronto a scommettere che Zilli, pettinata in modo diverso – qualsiasi altro modo, pure calva, pure con un pappagallo parlante in testa – avrebbe guadagnato una posizione molto più alta.

Mengoni sarà un ragazzo mediterraneo vestito con un elegante doppiopetto che canta una canzone d’amore bella ma non immediata. Superando l’ostacolo di una lingua che nessuno parla (a contrario de “L’amore è femmina/Out of Love” di Nina Zilli e “Follia d’amore/Madness of Love” di Gualazzi, non contiene parole italiane di facile comprensione o inserti in inglese), resta comunque il suo modo di stare sul palco. Con uno dei suoi sguardi di sbieco o un tic facciale di troppo, “L’essenziale” passerà in secondo piano. E sarebbe un peccato perché, dopo aver ascoltato le altre 38 proposte, è evidente che Mengoni è tra i migliori in gara – se non il migliore.

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Eurovision Song Contest 2013: la guida alle canzoni (prima parte)

eurovision2013_malmo_bidÈ quasi tempo di Eurovision Song Contest, i Giochi senza frontiere della musica. L’evento si terrà a Malmö, Svezia il 18 maggio e sarà preceduto dalle qualificazioni il 14 e 16 – ma questo non ci interessa troppo perché l’Italia e altre quattro nazioni più evolute di altre (questo è lo spirito!) vanno direttamente in finale. Le canzoni in gara sono 39, le ho ascoltate tutte e le ho giudicate in base agli unici criteri possibili: la qualità, la locura, le possibilità di vittoria (calcolate consultando qualche sito di scommesse e il mio pessimo intuito). In questa prima parte, affrontiamo le nazioni dalla A di Albania alla I di Israele, mentre la seconda parte arriverà la settimana prossima. Fate partire l’Inno alla gioia e leggete lo spataffione (poi stoppate l’Inno alla gioia per sentire i brani, se no che senso ha).

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Amici di Maria De Filippi, la finale

Ovvero tutto ciò che è sbagliato in televisione, giornalismo e industria musicale in Italia.

A forza di starcene nelle nostre torri di vinile dove tutti i gruppi fanno rima con buzz, relevant e hype, è facile dimenticare la portata di un fenomeno come Amici, la cui finale è, di fatto, il secondo evento musicale più importante d’Italia nonché il luogo dove si decidono le sorti dell’industria discografica locale e dove si testa chi farà veramente girare l’economia del settore negli anni a venire. Guardare dall’inizio alla fine il programma della De Filippi significa sintonizzarsi – e non lo dico con snobismo, credetemi – su un mondo che dalle nostre iper-nicchie percepiamo in minima parte solo nel corso di una settimana a febbraio, quando l’alunno di turno finisce all’Ariston e si piazza sul podio. Non è un caso se, in svariate ore di programma, le uniche canzoni che conosco sono quelle passate da Sanremo, mentre scopro con stupore che le brevi carriere di Emma & co. sono già costellate di classici contemporanei che un’Arena di Verona strapiena canta a memoria. Ripeto, non è snobismo: è una combinazione di filtri (frequentazioni online e offline, radio, letture musicali) che mi permettono di ignorare le dimensioni di Amici pur avendo la parola “pop” nel titolo del blog. Il primo che fa un paragone con X Factor, fuori.

Quest’anno Amici ha sdoppiato la gara: giovani e big. Maria, dopo dieci edizioni, ha capito che la credibilità della sua scuola si misura con la durata dei suoi talenti sugli scaffali. Riproporre le vecchie glorie in una nuova gara è stato essenziale per frenare la naturale caduta verso il dimenticatoio. Eppure, l’ultimo disco di Scanu è uscito a marzo, è stato una settimana in top 10 e dopo neanche un mese è uscito dai primi 50 (ora siede alla 85°); l’album di Carone, nonostante il traino di Sanremo, nonostante costituisca l’ultima opera su cui ha lavorato Dalla, non è mai salito oltre la posizione 28. Si vede che il pubblico non li ha capiti, speriamo almeno nella critica.

La critica. Sono stati ospiti fissi di questa edizione i giornalisti di molte testate nazionali, pronti a esaltare le qualità canore (e umane!) degli alunni: mai un’opinione fuori posto. I più coraggiosi magari esprimono una preferenza, pur sottolineando che anche gli altri sono bravissimi, bravissimi tutti, che emozione, pelle d’oca.

L’influenza di Maria non si ferma qui. Se i talent show sono in genere affiliati con una casa discografica sola, Amici riesce a collocare le sue incubatrici in tutte le major, da anni. Sul finire della serata, tre discografici (uno a testa per EMI, Warner e Universal) sono saliti sul palco a far firmare in diretta i contratti ai primi tre classificati. A meno che Gerardo, Ottavio e Carlo siano le vittime di un pessimo scherzo e abbiano appena messo la firma per l’acquisto di una batteria di pentole, quello a cui abbiamo assistito è un episodio senza precedenti: un pluralismo mai visto, una par condicio forse già in atto negli anni passati, ma mai così esplicita. Roba da mettere la De Filippi alla presidenza dell’ONU.

E infine, dopo i monologhi populisti di Brignano e l’esibizione di un illusionista che si deve liberare dalle catene in una vasca a testa in giù (citazione non voluta a Il siero della vanità!) arriva l’ultimo duello tra Emma e Alessandra Amoroso. Identiche, a un occhio poco allenato, le due si contendono l’ambito premio formando l’anello mancante tra Pausini e Nannini: sono aggressiva! Ma sono fragile! Facciamo che SE SONO AGGRESSIVA FUORI È PERCHÉ SONO FRAGILE DENTRO. Un repertorio di canzoni tutte uguali scritte attingendo solo da frasari d’italiano per principianti, con ritornelli sparati fino ai limiti delle loro corde vocali e arrangiamenti datati, facili, economici.

Vince a sorpresa la Amoroso (come vincerà anche Sanremo 2013), ma chiudono la serata cantando il pezzo festivaliero di Emma in un duetto esagerato. No, questo no, non è l’inferno, ma come anticamera non è niente male.

San Marino allo Eurovision Song Contest: chi sta trollando chi?

A contrario dell’Italia, che fa parte delle “Big Five” e si qualifica direttamente alle finali dello Eurovision Song Contest con Nina Zilli, la Repubblica di San Marino deve ancora superare lo scoglio delle eliminatorie del 24 maggio per accedere all’evento principale. Il pezzo scelto si chiama “Facebook Uh Oh Oh”, è composto da Ralph Siegel (un produttore che nel suo curriculum ha praticamente solo canzoni dello Eurovision) ed è interpretato da Valentina Monetta. La cantante è sammarinese, ha 37 anni e chiamate il signor Getty perché, se le va male con la musica, ha un futuro roseo nel mondo delle immagini di stock. È stata selezionata per rappresentare lo stato autonomo da Carmen Lasorella, che dal 2008 è Direttore Generale ed Editoriale di San Marino RTV. Ora che sappiamo tutto quello che c’è da sapere, guardiamo il video.

Ho molte domande dopo la visione di questa clip, ma l’unico modo per avere delle risposte è partire dalle basi e valutare tutte le opzioni. Propongo quattro scenari possibili:

1. Valentina Monetta è un troll, è una Rebecca Black studiata a tavolino. Il video è stato girato per sembrare un’opera con intenzioni professionali e risultato amatoriale. Il trash è voluto, l’obiettivo è creare un fenomeno virale.

2. Il compositore Ralph Siegel e gli autori Timothy Touchton e José Santana Rodriguez (buona fortuna a scovare questi due su Google) sono dei troll. Hanno scritto e composto questa canzone per ridere, ma l’hanno proposta ai sammarinesi con la faccia seria, e questi ci sono cascati. Insomma, è uno scherzo andato troppo lontano di cui la Repubblica non si è ancora accorta di essere vittima.

3. Carmen Lasorella è un troll e si è infiltrata nella TV sammarinese col compito di distruggerla dall’interno. Ha inoltre preso dei soldi da Nina Zilli per non offrire rivali valide.

4. Non c’è nessun troll. Qualcuno crede veramente che Valentina Monetta e il suo video siano un’offerta moderna, colorata, fresca, orecchiabile, internazionale. Ai giovani piace Facebook! Facciamo un pezzo su Facebook: sarà un successo! È, insomma, una scelta incompetente.

Il quarto scenario è di gran lunga il più inquietante, ma anche quello più vicino alla realtà. La prova è questo video della presentazione ufficiale.

Tralasciando il suo motto “se non canto invecchio”, se qualcuno sta prendendo in giro qualcuno, è tutto molto, troppo elaborato. Sono tutti serissimi, ma nel modo sbagliato. Perché lo Eurovision è una cosa seria, o almeno dovrebbe esserlo per chi lavora con la musica in Europa. Mi rivolgo a voi, discografici d’Italia, e ve la metto giù facile facile: con lo Eurovision si possono fare i soldi. Dovreste fare a gara per guadagnarvi un posto a una manifestazione vista da centinaia di milioni di persone. Dovreste andare a occupare San Marino supplicandoli di darvi quell’opportunità. Dovreste prendervi a botte anche solo per apparire con un embed nel sito dello Eurovision (il video di Valentina Monetta in un giorno ha guadagnato 20.000 visite e ogni volta che faccio refresh salgono vertiginosamente). Senza scomodare i cantanti che vendono già, avete i cassetti pieni di canzoni e interpreti, ex talent o vecchie glorie che non aspettano altro di salire su un palco che fa più telespettatori di un SuperBowl. Mal che vada, vi portate a casa qualche download dalla compilation ufficiale e qualcosa da scrivere sui comunicati stampa.

E invece no. “Facebook Uh Oh Oh.” Abbiamo qui un progetto ideato e confezionato così male da fare sperare che si tratti di uno scherzo.

UPDATE 19/03: La commissione dello Eurovision ha squalificato “Facebook Uh Oh Oh” perché pubblicizzerebbe un prodotto. Entro venerdì 23 marzo, San Marino può decidere se modificare il testo o inviare un nuovo brano. Nel frattempo, il video ha raggiunto 82.000 visite.

UPDATE 22/03: L’allarme è rientrato (si fa per dire). La nuova versione della canzone s’intitola “The Social Network Song (Oh Oh – Uh – Oh Oh)”. Ma ci starà in metrica?

X Factor 5: la finale

Sono stato alla finale di X Factor, proprio lì, in studio, a mangiare il buffet di Sky e schivare le telecamere 3D. Poi, la notte stessa, ho fatto una chiacchierata con Emiliano Colasanti (che era a casa sua in modalità rosicamento) e ne è uscito un articolo per GQ.

Due gentiluomini su Gentlemen’s Quarterly che discutono dell’assenza di Tommostrini, della necessità di una svolta dubstep per i Moderni e dell’evoluzione di Morganasia. E quando vi ricapita? Si legge qui.

Ora non ne parlo più, promesso.

Casi umani a X Factor: per me è no

Siamo alla seconda puntata delle selezioni di X Factor 5 e quest’anno i provini si tengono davanti al pubblico in palazzetti dello sport e non in uno studio chiuso. Questa sembra essere la prima di tante piccole correzioni che renderebbero il programma italiano più simile all’originale britannico. E non è necessariamente un bene.

X Factor UK, col passare degli anni, ha perfezionato la formula in maniera infallibile. Il format funziona e non si cambia, ma si può sempre ritoccare il contenuto. Accantonata l’idea di trovare le popstar del futuro (dopo il successo iniziale, quasi tutti i concorrenti vengono in genere licenziati dalle etichette coi flop del secondo album), a X Factor interessano gli ascolti televisivi e le attenzioni della stampa. La musica non si vende più, l’intrattenimento leggero e la storia strappalacrime sì. Ed ecco quindi che i fenomeni da baraccone e i casi umani non solo vengono ammessi alle selezioni, ma hanno anche accesso alla gara. Del resto, di ragazzine che sanno imitare Aretha Franklin ce ne sono a centinaia, mentre di donne di mezza età in minigonna che mettono le cosce in faccia a Gary Barlow in primetime un po’ meno; le prime non fanno audience, le seconde sì.

Non c’è da stupirsi se qualcuno paragona la visione del programma alle gite al manicomio nel XVIII secolo. A voler cercare concorrenti sempre più fuori di testa, infatti, X Factor UK (e Britain’s Got Talent e American Idol) hanno più volte pestato il merdone. L’anno scorso, Shirlena Johnson ha lasciato lo show perché mentalmente instabile; quest’anno, Ceri Rees si è presentata per la quarta volta alle selezioni e le sono stati dedicati sette lunghissimi minuti di screentime fino all’inascoltabile esibizione che l’ha rimandata a casa. Il caso della Rees è stato oggetto di un acceso dibattito perché non solo era la sua quarta partecipazione davanti alle telecamere, ma questa volta era stata perfino invitata dalla redazione al grido di “è la tua grande occasione”. Fortunatamente, davanti all’interminabile umiliazione della gattara 54enne, il pubblico ha detto basta.

È comprensibile che il programma voglia strappare qualche risata, ma nessuno è più così ingenuo da non individuare immediatamente i concorrenti destinati al LOL. Non stiamo parlando di gente come le Yavanna o Nevruz, che possono far sorridere per la loro eccentricità, ma sanno cantare. Se sei strambo e stonatuccio e arrivi davanti ai giudici dopo numerose fasi di selezione, hai abboccato (e abbiamo abboccato anche noi che ti facciamo diventare trending topic, Fiocco di Neve). Se sei stonato a quei livelli e pensi veramente di avere un futuro nella musica, la circonvenzione di incapace è dietro l’angolo.
(E allora la Corrida? Ci vuoi dire che Corrado sfruttava le persone fragili? Un attimo, il sottotitolo della Corrida era “dilettanti allo sbaraglio”: di talento se ne vedeva poco. Era una sagra paesana coi vecchietti che cantavano le canzoni in dialetto e le signore che battevano le pentole e i campanacci nel pubblico. Tra un “Vitti ‘na crozza” suonato con le ascelle dal pensionato e Un Contratto Con La Casa Discografica Più Importante Al Mondo c’è un po’ di differenza.)

Ma se X Factor 5 non sembra ancora aver giocato quella carta, ha già imparato la lezione del format originale sui casi umani. (Facciamo partire Adele come sottofondo.) Le Lallai  “sono sorelle e non si parlano da anni, ma si sono incontrate sul palco di X Factor. Be’, innanzitutto, CHE BELLA COINCIDENZA. E poi, che brutto, non si fa, la famiglia prima di tutto! Ventura e Morgan individuano subito il caso umano e forzano la riconciliazione via duetto: come soliste no, ma in coppia in sì. E nessuno che dica loro: “ma fatevi un po’ i cazzi vostri”. Manca solo il bus di Stranamore guidato da Rossella Brescia vestita da postina per completare il crossover. Venerdì sera, le Lallai si sono quindi presentate come duo e, be’, “l’esibizione è segno di un legame molto forte che dovreste rivedere” (Arisa), “quello che non vi dite da anni, ve lo siete detto con la musica, vi state sfidando con la vocalità!” (Morgan), “anch’io ho una sorella: tutto è risolvibile” (Ventura), “siete troppo brave, fate la pace! ” (delle signore fuori dal palazzetto), “No” (Elio).

Ecco, grazie Elio: NO. Se questa è la piega che gli autori hanno deciso di prendere per questa edizione, si spera siano in tempo per ripensarci. X Factor è uno degli ultimi baluardi di musica in televisione ed è una bella gara da seguire. Il pubblico che attira è diverso da quello di Amici e, se la timeline di Twitter può insegnarci qualcosa, la deriva defilippica non è piaciuta a nessuno. Alla quinta stagione e con una grossa opportunità per cambiare, il programma può scegliere se diventare l’ottimo talent show che a tratti abbiamo già conosciuto o l’ennesima collezione di RVM lacrimogeni. Sapete cosa dovete fare.

Star Academy: per me è no

Ci sono diverse ragioni dietro al successo di X Factor e una di queste è la struttura. È un programma con un format solido, chiaro, che sa mettere in risalto concorrenti e giudici e sa creare la tensione nei momenti giusti.

Ci sono diverse ragioni dietro al fallimento di Operazione Trionfo e una di queste è la struttura. Il suo nuovo reboot Star Academy, per differenziarsi da X Factor, ha accentuato i problemi di un format datato e ormai superato in molti paesi.

Innanzitutto, 16 concorrenti sono troppi. Ce li hanno presentati con brevi profili degni di The Club in cui, giustamente, non sapevano cosa dire. Non è neanche colpa loro: chiunque sembrerebbe ridicolo in una stanza dai colori acidi a spiegare cosa significa per te la musica. Ne escono delle perle incredibili come: “Le canzoni per me sono come le ciliegie, la musica è una ciliegia” (quello che vogliono far passare per eccentrico otaku con l’eye-liner); “Mi piace masterizzare” (quello che vogliono far passare per geek); “Mi piace il mondo gotico” (quella che vogliono far passare per emo). Poi una ha confessato che Biagio Antonacci è il suo cantante preferito ed è scattata la tolleranza zero.
Ad aumentare la confusione, il fatto che – a parte due minorenni sull’orlo del Jessicabrandogate – si tratta solo di ventenni di bell’aspetto. Niente Giops, Yavanna o Farias, che non erano certo le proposte discografiche più allettanti, ma aggiungevano una nota di colore e varietà.

Il secondo problema – grossissimo e probabilmente irreparabile – è la formula dei medley. Ci sono 16 sconosciuti che cantano pochi secondi a testa di troppe canzoni senza averle preparate. Finisce la serata e non si è capito chi è chi, chi ha potenziale, chi ci potrebbe piacere. In compenso, abbiamo sentito una decina di attacchi sbagliati e tanto tanto controcanto. Inoltre, alle esibizioni mancano il kitsch, l’ironia e la locura che – diciamocelo – hanno fatto la fortuna di X Factor. Insomma, MANCA TOMMASSINI.

E infine, chi giudica non ha motivi per salvare questo o quel cantante – una formula perfetta se fossimo in tribunale, ma quando si tratta di spettacolo, funziona meglio aggiungere alla ricetta gli interessi personali dei giudici. Non c’è tensione, non c’è attesa, non c’è dibattito. Un piccolo screzio tra Mietta e Vanoni non sazierà certo la sete di polemiche dello spettatore.

Oltre a questi problemi strutturali, l’esecuzione è stata ancora più disastrosa. Facchinetti dopo cinque anni ha imparato a condurre un talent, ma qui non ha nulla da condurre: una voce fuoricampo potrebbe tranquillamente prendere il suo posto. Il resto del cast non aiuta: Savino non ha spazio per aggiungere qualche commento vagamente divertente, Roy Paci è Roy Paci, la Cuccarini ride in maniera isterica senza motivo cercando una co-conduzione che non può avere. L’unica speranza è Ornella Vanoni, che ha un indiscusso potenziale Maionchi ancora tutto da sfruttare.

Sai che il tuo programma ha un problema quando l’unica ragione per guardarlo è vedere un’anziana un po’ svampita che non sa usare il telecomando del voto e urla: “ho un calo glicemico” e “mi scappa la pipì”.

Tatangelo, torna qui, è tutto perdonato.

Eurovision Song Contest 2011: cosa ci siamo persi negli ultimi 13 anni

Dato che nessuno ha avuto la malaugurata idea di spedirmi a Düsseldorf a fare da kermesse police, l’Eurovision Song Contest l’ho seguito dal grande divano dei social network. E sai che c’è? Mi sono divertito. Quindi, pur avendo snobbato la manifestazione per settimane, il resoconto è d’obbligo.

“Pronto Raphael?”

Mentre tutti i paesi civili hanno trasmesso la diretta con un commento in stile radiofonico, l’Italia ha organizzato una serata ad hoc condotta da Raffaella Carrà. Che la Carrà non sapesse tenere in piedi una diretta, già si sapeva (e Sanremo 2001 ne fu una pietosa conferma), ma di certo non ci aspettavamo una completa e totale anarchia televisiva di queste dimensioni. Toglile i balletti, i fagioli e le lacrime – toglile la struttura canonica dei programmi che ha condotto per decenni – e la Carrà diventa una soubrette alle prime armi. Meglio così, per noi che vogliamo i lulz.

La scelta di mettere su uno show per seguire lo show nasce dalla (supposta) incapacità del pubblico italiano di digerire una diretta commentata con voiceover e che ci sia bisogno dello Studio Con Le Poltrone di Japino per non scioccare troppo la casalinga. Tuttavia, se la lingua e le facce sconosciute dei presentatori in Germania erano un tale spauracchio, non si spiega la presenza di un ospite/opinionista francese che parla francese per tutta la serata. E che ospite. E che opinionista. Bob Sinclar.

Mai si era visto dare tanto spazio a una figura così sgradevole e fuori luogo per puri fini commerciali: la ripetuta e spudorata promozione del singolo “A far la morte comincia tu”. Tre ore ininterrotte di marchetta impreziosita da opinioni non richieste su “cosa ascoltano i giovani”, il download illegale e la solita fuffa sulle emozioni nella musica. Stizzito, Sinclar ha accusato i concorrenti di essere “finti” e “troppo commerciali”. Lui, che ricicla campionamenti da quando è nato e che anziché dare da mangiare a Kelly Rowland come tutti i DJ del pianeta, sceglie la Carrà.

“I am THE WORST.”

La selezione musicale è stata sorprendentemente variegata, segno che l’Eurovision non è più solo scarti di magazzino europop. Oltre alle inevitabili categorie Urlatrici, Nonni Folk e Bocellame sparso, ci sono stati tentativi di nu metal, jazz e Motown. Il tutto confezionato in pacchettini molto radiofonici, ma è più di quello che si possa dire di una tipica annata sanremese.
Persiste, tuttavia, un certo snobismo da parte dell’industria. Se all’Eurovision si andasse per vincere, a rigor di logica l’Islanda manderebbe Björk, la Francia Mylène Farmer, l’Italia la Pausini e il Regno Unito avrebbe centinaia di proposte più allettanti dei Blue (che erano comunque gli unici concorrenti in gara con un minimo di risonanza internazionale). Oppure possiamo riciclare la storia del “trampolino di lancio”, che in effetti l’anno scorso ha funzionato per la vincitrice Lena e sta già funzionando per quella macchina da guerra pop che è Eric Saade.

I CANI

Gualazzi è arrivato secondo ed è ancora difficile crederci. Sebbene l’unica cosa interessante del cantautore sia lo spelling col “ph” del suo nome, questa sera ha fatto centro (e non è stato solo merito degli amuleti e i pentacoli della Caselli). Il meccanismo della gara non permette al paese di votare il suo rappresentante, ma le nazioni confinanti tradizionalmente si danno una mano (ne consegue il successo dei blocchi jugoslavi, scandinavi, ecc.). E mentre erano tutti impegnati ad assegnare i voti più alti ai propri cugini, Gualazzi ha racimolato un piccolo bottino di voti bassi e qualche 12 (da Albania, Spagna, San Marino e Lettonia). Insomma, non ha polarizzato le opinioni ma è stato moderatamente gradito da tutti: questo ha decretato il suo successo.

Fidatevi, è meglio che non abbia vinto perché, se la leggenda del sabotaggio che mi hanno raccontato i Jalisse è ancora valida dopo 13 anni, la Rai non avrebbe fatto i salti di gioia all’idea di organizzare l’Eurovision 2012 in Italia (così spetta al vincitore). Toccherà invece all’Azerbaijan [inserire qui battuta sulla povertà di infrastrutture del paese] che ha sbancato con la formula “Vattene amore”: duetto uomo/donna sentimentale costruito a tavolino. E quanto mi piace dire che io, in tempi non sospetti, l’avevo previsto: