Intervista a Sam Smith

 
 
 
 

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Quando Sam Smith mi accoglie parlando del suo amore per l’Italia, ho il timore di trovarmi davanti a una popstar che ha già subito troppo media training. Ma mi ricredo subito perché, al contrario, l’onestà che Sam Smith mette nelle sue parole e la sua musica ha dell’incredibile. Il suo primo album, in uscita a maggio, chiude una fase di fortunate collaborazioni (Naughty Boy, Disclosure) e dimostra che d’ora in poi ce la farà da solo – in tutti i sensi.

Italia! Il mio paese preferito!
Dai, non dire queste cose.
Sul serio! Da piccolo, per tre anni, ho passato l’estate in un paesino di montagna chiamato Agnola, vicino a Sestri Levante. Ho deciso che voglio trasferirmi là quando avrò quarant’anni. Voglio morire là.
Torniamo al presente. Quante volte ti sei sentito dire che questo sarà il tuo anno?
Molte. E ogni volta mi preoccupo. Non si sa mai.
Hai vinto il Critics’ choice ai BRIT Awards e il Sound poll. Però, se dai un’occhiata ai vincitori degli anni scorsi (Ellie Goulding, Jessie J, Emeli Sandé), non erano così conosciuti al momento del premio. Di certo non avevano già due grossi successi come “La La La” o “Latch”.
È vero, è pazzesco. Ma ora sono pronto per farcela da solo, sento di avere la preparazione necessaria.
Del resto, è da un po’ che aspettavi. Da qualche parte ho letto che hai già cambiato sei agenti.
Nove. Ho avuto il primo agente a dodici anni, e poi sono arrivati gli altri, a gruppi di due. Ma non è stata colpa mia: alcuni erano bugiardi, altri non sapevano come gestirmi.
Nel mondo del cinema, si direbbe development hell – quando un copione passa di mano in mano per un’eternità perché nessuno sa bene cosa farne.
Esatto, nessuno sapeva quale strada prendere perché io per primo non lo sapevo. Nel momento in cui capisci cosa vuoi fare e cosa vuoi dire, le cose iniziano ad andare per il verso giusto.
Quando è arrivato per te quel momento?
Quando ho mollato il mio penultimo agente. Quel giorno ho scritto un pezzo, “Little Sailor”, in cui cercavo di farmi coraggio e mi convincevo che sarei riuscito a diventare un cantante. Ed è proprio quella canzone che ha suscitato la curiosità del mio agente e della mia casa discografica attuali.
Però non l’hai messa nell’album.
No. Per me funziona così: “Little Sailor” rappresentava quel preciso momento nella mia vita. Non c’entra con l’album, non tratta gli argomenti di cui voglio scrivere e cantare adesso.
Trovo abbastanza coraggioso che tu abbia deciso di esordire con un concept album sull’amore non corrisposto.
Sono molto onesto nella mia musica. Non ho mai avuto una relazione sentimentale e la persona che amavo non mi amava. Volevo parlare di questo, e di come le storie di una notte mi abbiano fatto soffrire. Ho scritto una canzone con Jimmy Napes, “The Lonely Hour”…
…che non è nell’album.
Alla fine ne ho tenuto solo il titolo. Era adatto a un album per cuori solitari.

Non trovi sia pericoloso parlare in modo così aperto nelle canzoni? La gente potrebbe iniziare a fare domande sulla tua vita privata…
Non credo ci sia nemmeno bisogno di chiedere perché dico già tutto nell’album! Canto, con grande onestà, della mia solitudine.
Oh.
Lo so, è tristissimo.
È un’onestà quasi aggressiva, se me lo concedi. C’è una canzone intitolata “Leave Your Lover”: è una frase forte.
Vero, imploro una persona di lasciare il suo partner per stare con me. Ma ho cercato di ammorbidire il messaggio con un testo romantico e le chitarre. Nel resto dell’album, c’è un po’ di tutto: gospel, soul, R&B, country, pop. La mia voce è il filo conduttore che lega i risultati ottenuti sperimentando con generi e collaboratori diversi.
Com’è andata con Linda Perry?
Abbiamo lavorato insieme a Los Angeles, ne è uscita fuori una canzone incredibile. Ma non è nell’album.
Si può sapere che caspita c’hai messo in quest’album?!
Ho un catalogo gigantesco, ma nell’album ho messo solo dieci tracce e le ho scelte con cura.
Questo lo apprezzo: nessuno vuole un album da 18 tracce.
Se fosse stato per l’etichetta, ce ne sarebbero molte di più. Non c’è neanche “Nirvana” perché, dal punto di vista del consumatore, non vedo perché cazzo dovrei ricomprare una canzone che è già stata pubblicata mesi fa!
Sei stato ai Grammy. Com’è stata la cerimonia?
Lunga. Quattro ore. E non puoi nemmeno bere.
Ti assicuro che è noiosa anche guardandola da casa. Forse da lì passa più fretta.
Direi di no, anche se c’era una bella varietà nelle esibizioni. Alla fine mi sono divertito, all’afterparty.
Ho visto una foto con te, Sting, Mary J. Blige e i Disclosure.
Sì, Mary J. Blige ha cantato coi ragazzi a New York.
Non dev’essere facile reggere il confronto…
Esatto! E pensa che subito dopo sono dovuto salire sul palco a cantare “Latch”. Me la stavo facendo addosso.
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